“BASTARDO”:
sentendo questo nome, potreste pensare di avere a che fare con un termine che
indica un ibrido fra due razze. Invece, nel nostro caso, questo era l’antico
nome di una località sita all’imboccatura della Valdichiana, nel Comune di
Arezzo.
Il “Bastardo” fu poi ribattezzato “San Giuliano” a partire dal 19 Gennaio 1940.
Sappiamo dell’esistenza di un altro “Bastardo”, frazione di Giano dell’Umbria, e in origine antica stazione di Posta lungo la via Flaminia.
La storia del “Bastardo” di Arezzo è legata a quella di tutta la Valdichiana fin dai tempi più antichi. Infatti, a partire dall’anno Mille e in seguito alle continue esondazioni del fiume Clanis, si formarono delle paludi navigabili.
Iniziò così un grande traffico di merci (soprattutto grano) per via fluviale attraverso il Tevere, da qui sul Paglia e poi sulla Chiana. Poiché non si poteva raggiungere l’Arno direttamente, a Ponte alla Nave le merci venivano caricate a basto d’asino transitando per il Bastardo e Gratena sulla via dei Fiorentini, fino a Firenze.
Il “basto” dell’asino avrebbe dato origine al nome “Bastardo”, anche se esistono altre ipotesi sull’origine di questo nome particolare.
Se vi incuriosisce questa storia e volete approfondirla, vi consiglio di leggere “Racconti del Bastardo” a cura di Nanni Cheli e “Valdichiana” di Eraldo Valdambrini.
Tornando al nostro “Bastardo”, il commercio del grano da Ponte alla Nave verso Firenze dette vita a numerose attività imprenditoriali ed artigianali, volte a soddisfare le richieste dei carovanieri e degli animali da soma, come quelle del fabbro, del maniscalco, del falegname e così via. Nacquero l’appalto (la bottega di generi alimentari), la ferramenta, la Posta e il “Bastardo” diventò un centro tanto importante da avere perfino una cappella con annesso “spedale” ed una hosteria che, pare, abbia avuto grande successo.
Si legge in un documento del 1494 che vengono riconosciuti ad Antonio hoste al Bastardo soldi 52 per aver dato scotto, cioè vitto, ad alcuni membri del Comune e più volte l’hosteria viene definita molto comoda per dar albergo a vetturali ed altri.
Data la vicinanza con la “Fattoria del Bastardo”, l’ “Hosteria del Bastardo” poteva usufruire di prodotti freschi tutti i giorni, come scrive Augusto Venerando Tocci nel suo libro “Dal bosco all’orto direttamente in tavola”.
La disponibilità di farina di grano e di uova fresche permise ai proprietari dell’ hosteria di offrire agli avventori un’ampia scelta di primi piatti a base di pasta fatta in casa. Troneggiavano i maccheroni col sugo di coniglio o di ocio cui si aggiunse – ma solo verso il 1600 – la polenta.
Completavano il menù tutti gli animali da cortile e la cacciagione, sempre abbondante nei nostri boschi. A soddisfare le regole imposte dalla Chiesa che invitava i fedeli ad osservare i “giorni di magro” non mancava il pesce proveniente dai fiumi vicini e proposto in un’infinita varietà di ricette, semplici ma gustose.
Non possiamo dimenticare l’importanza assunta dal maiale, non solo nella “nostra” hosteria. Ammazzare il maiale era una festa per la famiglia che poteva disporne per tutto l’anno grazie all’estrema versatilità offerta da questo tipo di carne.
Menzione a parte merita la “Chianina”, una razza bovina tipica della Valdichiana e che, oltre a costituire un aiuto indispensabile nel lavoro dei campi, forniva (e fornisce tuttora) una carne eccezionale. Dalla parte più pregiata si ricava la famosa bistecca alla Fiorentina ma anche le parti meno nobili, le frattaglie, rappresentano l’ingrediente di base per grandi piatti dal gusto deciso ed intenso.
Per apprezzare fino in fondo i piatti tipici della nostra cucina, non c’è niente di meglio che accompagnarli con un buon vino toscano, meglio se servito nel fiasco tradizionale. Parliamo del CHIANTI, che è simbolo del vino italiano nel mondo e di vino toscano in Italia. L’uvaggio, accuratamente studiato e selezionato, è composto perlopiù da Sangiovese, Canaiolo nero, Trebbiano, ma anche da Cabernet e Merlot.
Bevuto giovane, è un vino da tutto pasto, invecchiato si sposa ottimamente con umidi e cacciagione. Vale la pena ricordare che il nome “Chianti” pare derivare dal latino “clangor”, parola che stava ad indicare il frastuono prodotto dai corni dei cacciatori intenti a stanare la selvaggina. L’abbinamento con le carni rosse è, dunque, di rito.
La bonifica della valle, avvenuta con la costruzione del Canale Maestro della Chiana e terminata nei primi anni del 1900, la progressiva evoluzione tecnologica dei trasporti e delle vie di comunicazione hanno cancellato il ruolo centrale del “Bastardo” e anche l’ hosteria ha da tempo chiuso i battenti...
Tuttavia, ancora oggi la frazione che porta il nuovo nome di “San Giuliano” è una ridente località, posta al crocevia di strade importanti e possiede l’attività di ristorazione “IL MURETTO” proprio nel fabbricato un tempo occupato dall’ antica hosteria.
Cambiano i nomi, cambiano le abitudini ma “IL MURETTO” continua ad offrire i piatti di un tempo, rivisitati nel rispetto della stagionalità dei prodotti e della migliore tradizione gastronomica del nostro territorio.
Il “Bastardo” fu poi ribattezzato “San Giuliano” a partire dal 19 Gennaio 1940.
Sappiamo dell’esistenza di un altro “Bastardo”, frazione di Giano dell’Umbria, e in origine antica stazione di Posta lungo la via Flaminia.
La storia del “Bastardo” di Arezzo è legata a quella di tutta la Valdichiana fin dai tempi più antichi. Infatti, a partire dall’anno Mille e in seguito alle continue esondazioni del fiume Clanis, si formarono delle paludi navigabili.
Iniziò così un grande traffico di merci (soprattutto grano) per via fluviale attraverso il Tevere, da qui sul Paglia e poi sulla Chiana. Poiché non si poteva raggiungere l’Arno direttamente, a Ponte alla Nave le merci venivano caricate a basto d’asino transitando per il Bastardo e Gratena sulla via dei Fiorentini, fino a Firenze.
Il “basto” dell’asino avrebbe dato origine al nome “Bastardo”, anche se esistono altre ipotesi sull’origine di questo nome particolare.
Se vi incuriosisce questa storia e volete approfondirla, vi consiglio di leggere “Racconti del Bastardo” a cura di Nanni Cheli e “Valdichiana” di Eraldo Valdambrini.
Tornando al nostro “Bastardo”, il commercio del grano da Ponte alla Nave verso Firenze dette vita a numerose attività imprenditoriali ed artigianali, volte a soddisfare le richieste dei carovanieri e degli animali da soma, come quelle del fabbro, del maniscalco, del falegname e così via. Nacquero l’appalto (la bottega di generi alimentari), la ferramenta, la Posta e il “Bastardo” diventò un centro tanto importante da avere perfino una cappella con annesso “spedale” ed una hosteria che, pare, abbia avuto grande successo.
Si legge in un documento del 1494 che vengono riconosciuti ad Antonio hoste al Bastardo soldi 52 per aver dato scotto, cioè vitto, ad alcuni membri del Comune e più volte l’hosteria viene definita molto comoda per dar albergo a vetturali ed altri.
Data la vicinanza con la “Fattoria del Bastardo”, l’ “Hosteria del Bastardo” poteva usufruire di prodotti freschi tutti i giorni, come scrive Augusto Venerando Tocci nel suo libro “Dal bosco all’orto direttamente in tavola”.
La disponibilità di farina di grano e di uova fresche permise ai proprietari dell’ hosteria di offrire agli avventori un’ampia scelta di primi piatti a base di pasta fatta in casa. Troneggiavano i maccheroni col sugo di coniglio o di ocio cui si aggiunse – ma solo verso il 1600 – la polenta.
Completavano il menù tutti gli animali da cortile e la cacciagione, sempre abbondante nei nostri boschi. A soddisfare le regole imposte dalla Chiesa che invitava i fedeli ad osservare i “giorni di magro” non mancava il pesce proveniente dai fiumi vicini e proposto in un’infinita varietà di ricette, semplici ma gustose.
Non possiamo dimenticare l’importanza assunta dal maiale, non solo nella “nostra” hosteria. Ammazzare il maiale era una festa per la famiglia che poteva disporne per tutto l’anno grazie all’estrema versatilità offerta da questo tipo di carne.
Menzione a parte merita la “Chianina”, una razza bovina tipica della Valdichiana e che, oltre a costituire un aiuto indispensabile nel lavoro dei campi, forniva (e fornisce tuttora) una carne eccezionale. Dalla parte più pregiata si ricava la famosa bistecca alla Fiorentina ma anche le parti meno nobili, le frattaglie, rappresentano l’ingrediente di base per grandi piatti dal gusto deciso ed intenso.
Per apprezzare fino in fondo i piatti tipici della nostra cucina, non c’è niente di meglio che accompagnarli con un buon vino toscano, meglio se servito nel fiasco tradizionale. Parliamo del CHIANTI, che è simbolo del vino italiano nel mondo e di vino toscano in Italia. L’uvaggio, accuratamente studiato e selezionato, è composto perlopiù da Sangiovese, Canaiolo nero, Trebbiano, ma anche da Cabernet e Merlot.
Bevuto giovane, è un vino da tutto pasto, invecchiato si sposa ottimamente con umidi e cacciagione. Vale la pena ricordare che il nome “Chianti” pare derivare dal latino “clangor”, parola che stava ad indicare il frastuono prodotto dai corni dei cacciatori intenti a stanare la selvaggina. L’abbinamento con le carni rosse è, dunque, di rito.
La bonifica della valle, avvenuta con la costruzione del Canale Maestro della Chiana e terminata nei primi anni del 1900, la progressiva evoluzione tecnologica dei trasporti e delle vie di comunicazione hanno cancellato il ruolo centrale del “Bastardo” e anche l’ hosteria ha da tempo chiuso i battenti...
Tuttavia, ancora oggi la frazione che porta il nuovo nome di “San Giuliano” è una ridente località, posta al crocevia di strade importanti e possiede l’attività di ristorazione “IL MURETTO” proprio nel fabbricato un tempo occupato dall’ antica hosteria.
Cambiano i nomi, cambiano le abitudini ma “IL MURETTO” continua ad offrire i piatti di un tempo, rivisitati nel rispetto della stagionalità dei prodotti e della migliore tradizione gastronomica del nostro territorio.